download (1)Nel mese di ottobre si sono svolte nell’area umanistica alcune assemblee studentesche che hanno permesso di individuare le principali criticità che viviamo quotidianamente come studenti. Queste sono state raccolte in un documento, commentabile e aperto ad ulteriori contributi, che per noi rappresenta la piattaforma di rivendicazione nei confronti della governance dell’area umanistica. Dai crediti per accedere ai TFA, al carico di studio, alle aule sovraffollate, passando per il ripristino dell’appello d’esame di dicembre aperto a tutti: sono queste le denunce e le proposte che lanciamo come ultimatum, perché non possiamo più aspettare per delle soluzioni concrete.

Dopo l’esperienza dello scorso mese di luglio, quando la cancellazione dell’appello di dicembre ha innescato un’indignata reazione sfociata nel blocco del consiglio di dipartimento di civiltà e forme del sapere, è tempo di ripartire dai nostri bisogni e dalla difesa della nostra formazione, come peraltro evidenziato anche da alcuni interventi durante l’assemblea d’ateneo del 12 novembre scorso. Come Lettere Rosse – Sinistra per… siamo pronti a portare con determinazione questo documento e il suo punto di vista negli organi decisionali, a partire dalle commissioni didattiche e dai consiglio di dipartimento dell’area umanistica; è, però, evidente che questo percorso deve essere sostenuto dal contributo diretto, dalla partecipazione e dalla voglia di mettersi in gioco di tutte e tutti!

Segue il testo integrale del documento:

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Ultimatum alla governance: non possiamo più aspettare!

Siamo studenti e studentesse dell’area umanistica che ogni giorno si trovano alle prese con le difficoltà di un percorso di studi sempre più accidentato ed escludente. Facciamo in larga misura parte di una generazione che vede davanti a sé più privazioni che diritti riconosciuti. Il nostro futuro è pieno di incognite: terminare il percorso di studi, poter contare su un welfare adeguato, riuscire a ottenere una casa e un contratto non precario per progettare la propria vita sono delle scommesse che si scontrano con un quadro attuale drammatico.

Il diritto allo studio e il nostro bisogno di formazione sono di fatto negati in questo Paese: i tagli continui che sono stati effettuati sulle risorse statali destinate alle borse di studio stanno determinando un’espulsione di massa dagli atenei pubblici e un’elitarizzazione dei saperi, obiettivi non dichiarati della c.d. Riforma Gelmini. Solo in Italia si è determinata la figura dello studente “idoneo ma non beneficiario di borsa di studio” per mancanza di risorse, una vergogna che non in molti casi costringe gli studenti privi di mezzi tutelati dalla Costituzione (art. 34) ad abbandonare gli studi. Anche a Pisa registriamo situazioni drammatiche: a fronte di 3.064 aventi diritto sono disponibili soltanto 1556 posti alloggio, situazione che spinge il 50% di questi studenti verso il mercato privato degli affitti, segnato da costi spesso insostenibili e condizioni fatiscenti degli appartamenti del centro storico destinati a studenti.

Il clamoroso calo delle immatricolazioni negli ultimi dieci anni registrato dal CUN rappresenta benissimo quanto sta accadendo. Chi non ha potuto iscriversi all’università o ha dovuto interrompere i propri studi si trova davanti un mercato del lavoro senza tutele e a una disoccupazione giovanile dilagante che ormai ha superato il 40%. Ci sentiamo profondamente legati a chi oggi patisce questa condizione sociale, perché i dati sulla disoccupazione dei laureati italiani e il fenomeno degli “over-educated” testimoniano come in Italia i saperi e la conoscenza qualificata non siano adeguatamente valorizzati.

L’area umanistica costituisce uno spaccato esemplare della situazione generale dell’Università italiana e degli effetti della Riforma Gelmini. Le contraddizioni fra luoghi della formazione, mercato del lavoro e condizione generale della società sono esplose in maniera forte nell’area umanistica: negli ultimi dieci anni il calo delle immatricolazioni è stato del 27%, sommando alla carenza di welfare studentesco gli effetti della crisi e l’accresciuta incertezza sulla spendibilità della laurea dopo il conseguimento del titolo. Abbiamo raggiunto il livello di emergenza, se pensiamo alle porte della ricerca universitaria che ci vengono sbattute in faccia dai feroci tagli, al percorso ad ostacoli verso l’abilitazione all’insegnamento negli istituti medi e superiori, al blocco del turn over nella pubblico impiego che torna con forza nella Legge di Stabilità varata dal governo Letta.

Nell’area umanistica dell’ateneo di Pisa gli effetti del passaggio dalle facoltà ai dipartimenti (voluta dalla Riforma Gelmini) si sono fatti sentire negativamente, penalizzando la multidisciplinarietà propria per natura dei saperi umanistici, nonché frammentando e indebolendo gli spazi di discussione collegiale e democratica. Abbiamo assistito a una gestione spesso verticistica delle questioni strategiche per il futuro dei nostri studi e della ricerca o, peggio, una gestione che ha svilito gli organi collegiali e promosso una creazione del consenso tramite incontri informali e non trasparenti fra le diverse aree disciplinari.

Noi studenti e studentesse dell’area umanistica non possiamo più aspettare che le soluzioni vengano calate dall’alto. Oggi lanciamo un ultimatum ai direttori di dipartimento, alla docenza, all’amministrazione centrale dell’ateneo: non possiamo più aspettare per alcuni nodi cruciali per i nostri studi. Quelle che seguono sono una parte delle nostre rivendicazioni che hanno bisogno di immediate risposte: è un documento aperto, integrabile in ogni momento con il contributo di tutti gli studenti.

Aule sovraffollate

Seguire le lezioni sta diventando sempre più complicato. In alcuni insegnamenti in particolare trovare posti a sedere risulta molto spesso difficile se non impossibile, richiede agli studenti di presentarsi molti minuti prima dell’inizio della lezione, affaccendarsi alla ricerca di sedie da sottrarre ad altre aule, o rassegnarsi a stare per terra, qualora lo spazio sia insufficiente a ospitare sedie per tutti. Vari insegnamenti sono indispensabili per più corsi di laurea, in quanto attività richieste dai regolamenti dei corsi di studio, e non considerare questo fatto nell’assegnazione delle aule comporta non pochi disagi. Abbiamo bisogno di un piano di assegnazione delle aule e di determinazione degli orari in grado di rispondere alle esigenze reali e non alle pressioni dei docenti: non è più accettabile che la maggior parte degli insegnamenti si concentri nelle fasce d’orario fra le 10.00 e le 12.00 e le 14.00; non è più accettabile assistere ad aule gremite di persone costrette a sedere per terra e contemporaneamente ad aule sottoutilizzate o addirittura vuote. E’ necessario che fin dal prossimo semestre vi sia una commissione preposta all’organizzazione di orari e aule che veda il lavoro congiunto di entrambi i dipartimenti al fine di rendere adeguatamente fruibili tutti gli insegnamenti.

La carenza di aule non deve essere banalizzata, perché è una delle conseguenza paradigmatiche della mancanza di risorse e di investimenti nell’università pubblica. I nostri dipartimenti non sono dotati di spazi adeguati al nostro bisogno di formazione: l’area umanistica vive una situazione drammatica che apre una contraddizione sulle politiche di investimento del nostro ateneo. In attesa che siano portate a termine le ristrutturazioni degli ex Salesiani in via Santa Maria e del secondo lotto del polo Guidotti in via Trieste, devono essere trovate soluzioni per migliorare la situazione attuale.

Appelli d’esame

Lo scorso anno accademico entrambi i dipartimenti dell’area umanistica hanno cancellato l’appello di dicembre. I motivi addotti dai docenti a favore di questa manovra sono risultati davvero poco credibili: paragonare il numero di appelli delle università italiane a quello delle università europee vuol dire estrarre un particolare estemporaneo senza tener conto delle macroscopiche differenze nell’intera gestione della didattica: ciò vuol dire che per ridurre il numero di appelli risulterebbe necessaria un’intera revisione del sistema didattico d’ateneo, ma che finché questa non sarà compiuta 8 appelli risulteranno indispensabili. Altra motivazione addotta dai docenti è stata la sovrapposizione dell’appello di dicembre alle lezioni del secondo semestre: tuttavia questo è evidentemente un falso problema alla luce della recente diminuzione di ore di lezione per credito (da 7 a 6) e dell’inizio delle lezioni a fine settembre previsto dal calendario didattico approvato a luglio (mentre molte lezioni sono partite a ottobre inoltrato).

Nel dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere gli studenti hanno messo in campo forti pratiche di resistenza fino al blocco del consiglio di dipartimento per difendere la propria condizione. Il mezzo passo indietro da parte della direzione introducendo un terzo appello fra gennaio e febbraio non è altro che un misero palliativo che impone ritmi di studio invivibili al fine di dare lo stesso numero di esami in un tempo più concentrato.

Valutiamo come insufficiente la recente discussione nel dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica che ha portato alla reintroduzione dell’appello di dicembre per i soli studenti iscritti ai corsi singoli di transizione. Se da un lato offre un’opportunità in più a una categoria di studenti senza tutele non essendo nemmeno riconosciuta per l’ottenimento della borsa di studio, la risoluzione del dipartimento non solo resta in contraddizione con lo stesso regolamento didattico d’ateneo che prevede l’estensione degli appelli straordinari ad altre figure, come gli studenti lavoratori, genitori e fuori corso, ma non risponde minimamente all’esigenza della generalità degli studenti, di chi lavora a nero e di chi deve fronteggiare un piano di studi con 8-9 esami per anno accademico.

Vogliamo che nell’area umanistica si torni al numero di 8 appelli aperti a tutti gli studenti. Questo non trasformerà la nostra università in un “esamificio”, ma permetterà agli studenti di svolgere gli esami previsti dal loro piano di studi e di non creare ulteriori difficoltà nel mantenere la borsa di studio.

Didattica

Il calendario dei corsi di quest’anno ha, quasi come ogni anno, fatto subito emergere un’importante falla nel modo in cui e’ stata (non) discussa la programmazione didattica dei singoli corsi di laurea: in molti casi, infatti, la distribuzione dei corsi tra primo e secondo semestre e’ notevolmente sbilanciata a favore del secondo semestre, cosa che non solo non permette di completare il semestre dando gli esami previsti (30 cfu), ma che soprattutto costringe a un carico di studio eccessivo durante la seconda meta’ dell’anno accademico, rendendo difficile dare in quei mesi tutti gli esami che sarebbero necessari; situazione ancora più grave per chi e’ al primo anno del percorso di studio triennale o magistrale (e quindi non può dare nemmeno da non frequentante gli esami dei corsi attivati l’anno precedente) e, soprattutto, per chi, dovendo mantenere la borsa di studio, deve conseguire un numero minimo di cfu entro luglio. Per questi motivi, riteniamo necessario che ci sia una maggiore discussione e trasparenza nella preparazione del calendario dei corsi e una conseguente maggiore razionalità nella loro distribuzione tra i due semestri. A rendere, poi, questa situazione ancora più difficile da gestire è l’assenza di ogni forma di controllo sul carico di studio previsto per ogni singolo insegnamento, che risulta cosi’, sopratutto nel caso dei corsi da 6 cfu, eccessivo rispetto a quanto formalmente previsto, rendendo spesso estremamente difficile preparare più esami contemporaneamente. Questa difficoltà risulta tanto più grande per gli studenti delle lauree magistrali, i cui piani di studio si compongono quasi esclusivamente di corsi da 6 cfu, al punto che in certi casi, per completare l’anno e’ necessario dare ben 10 esami ( badare bene: gli appelli sono 8), per cui non risulta strano che solo una minoranza ci riesca. In tal merito sarebbe opportuno o prevedere un aumento degli esami da 12 cfu, o garantire la forma seminariale degli esami da 6 cfu, forma che spesso rimane tale solo sulla carta (o, in questo caso, sul portale Omero).

Offerta formativa e piani di studio

“Ho sentito di quel corso particolare che vorrei seguire, però sono una matricola e sul sito non dice nulla… Sai darmi delle informazioni?” “Sì, quest’anno tace”.

Quante volte ci siamo trovati in situazione del genere?  Le matricole dei nostri dipartimenti ogni anno si scontrano con la dura realtà e devono smorzare il loro entusiasmo nel momento in cui vengono a sapere che molti, troppi corsi che li hanno convinti a preferire l’offerta dell’ateneo Pisano rispetto a qualsiasi altro ateneo…Tacciono.

Basta dare un’occhiata sul portale della didattica “Omero” per rendersi conto di quanti siano effettivamente i corsi fantasmi, ovvero quei corsi che pur presenti nel piano di studi presentato ufficialmente dall’ateneo, in realtà non esistono più (nella maggior parte dei casi perché il professore che se n’è sempre occupato entra in pensione), paradigmatico l’esempio delle lauree magistrali di Filosofia e Forme del Sapere (42 insegnamenti tacciono), di Orientalistica (20 insegnamenti tacciono) e Storia e Civiltà (27 insegnamenti tacciono)… Migliore, ma destinata a peggiorare, è la situazione per le lauree triennali dei due dipartimenti, dove rischiano di sparire nei prossimi anni interi curricula (o di fatto aspettano solo il colpo di grazia come il curriculum orientalistico di Lettere): se il decreto AVA non verrà messo in discussione, da queste premesse, la situazione per gli atenei italiani non può che peggiorare, infatti con il blocco delle assunzioni nei prossimi 3 anni stabilito dal Decreto, molti corsi di Laurea scompariranno ed altri saranno ridotti all’osso, eliminando definitivamente quella che da sempre ha caratterizzato l’offerta formativa dell’area umanistica, ovvero la vasta gamma di scelte di insegnamenti nel piano di studi e la possibilità per lo studente di personalizzare il proprio percorso, progetto già ormai attuato per quanto riguarda la maggior parte dei corsi “scientifici”.

Didattica alternativa

Problematico non è solo lo snellimento dell’offerta formativa, soprattutto in quelle aree del sapere in cui storicamente l’Italia ha fatto da battistrada – e che potrebbe essere in qualche modo giustificato da un tentativo di valorizzazione degli insegnamenti privilegiati – ma anche e soprattutto la mancanza di sperimentazione in fatto di modelli didattici, elemento che ci fa capire quanto bisogno abbia di rinnovarsi l’università: è infatti noto a tutti che il più delle volte nelle nostre aule le modalità di lezione sono esclusivamente frontali; questo tipo di lezione, pur indubbiamente necessario per gli insegnamenti base, ha il difetto di non essere pienamente in grado di far crescere le capacità critiche e di ricerca degli studenti, i quali si ritrovano cosi’ spesso a dover scrivere una tesi senza aver mai veramente acquisito un metodo di studio e ricerca adatto per quel tipo di attività. È quindi evidente l’importanza di introdurre un maggior numero di corsi di insegnamento dall’impostazione seminariale o parzialmente seminariale prima di tutto alle Magistrali e poi, pur se in numero minore, cominciare a dare questa impronta seminariale anche durante il triennio; sperimentazioni di didattica alternativa potrebbero essere anche lezioni in parte autogestite o insegnamenti in cui il percorso da seguire viene discusso insieme da studenti ed insegnanti, in modo da ridisegnare il rapporto studente-professore che da troppo tempo è fissato su modelli che spesso risultano anacronistici.

Abilitazione all’insegnamento: i guai dei Tirocini Formativi Attivi (TFA)

I nuovi metodi di abilitazione all’insegnamento introdotti dalla riforma Gelmini (i famosi TFA), nonostante ora come ora non siano concretamente operativi e operanti (nessun bando di concorso e’ stato emanato nel 2013) prevedono per l’accesso a ogni singola cattedra (o classe) di insegnamento, una serie di requisiti in termini di cfu acquisiti in specifici settori scientifico-disciplinari, senza i quali non e’ possibile nemmeno accedere al concorso per l’abilitazione (tali requisiti sono definiti dal D.M 22 del 9 febbraio 2005 e sono validi a  prescindere dall’attivazione dei TFA). Alla luce di questa esigenza, riteniamo di fondamentale importanza, tanto più in un ambito come quello umanistico, una generale revisione dei piani di studio all’interno del nostro Dipartimento. Allo stato attuale, infatti, non e’ spesso possibile conseguire i requisiti necessari all’interno e durante il proprio percorso di studio, costringendo gli studenti o a dare esami extracurricurali (che pero’ prolungano i tempi di laurea) o a darli successivamente, da esterni, pagandoli cosi’ a peso d’oro. Per evitare tutto questo, crediamo sia necessario, laddove possibile (cioè nei casi in cui i cfu da ottenere siano 36 o 42), garantire una maggiore flessibilità del piano di studio, aumentando ad esempio, il numero degli insegnamenti inseriti nella lista degli esami affini.