Negli ultimi anni l’università pubblica ha subito e continua a subire un processo di trasformazione che la sta progressivamente allontanando dall’idea di università di massa e strumento di mobilità sociale. Siamo di fronte non solo a un’espulsione di massa su base reddituale dagli atenei, prodotta dal progressivo definanziamento del diritto allo studio e testimoniata dalle principali statistiche nazionali, ma anche a un aumento esponenziale dei corsi di laurea a numero chiuso e programmato. Quasi il 60% dei corsi attivati in Italia non è ad accesso libero, ma prevede un numero limitato di posti oppure soglie e altre tipologie di sbarramento in ingresso.
Numeri come questi mettono in evidenza come la politica in materia di accesso all’università sia andata ben oltre il contestabile principio alla base della legge Zecchino del 1999, finalizzata a tutelare figure professionali particolari come quelle dell’area medico-sanitaria. Si è venuto a creare un effetto domino clamoroso al quale concorrono la carenza di risorse, le strutture inadeguate (in primo luogo aule e laboratori) e i criteri quantitativi stringenti stabiliti dal ministero per tenere aperto un corso. Sono tutti elementi connessi in maniera più o meno esplicita con due paradigmi che hanno governato l’università negli ultimi anni: da un lato il sottofinanziamento e il blocco del turn over imposto agli atenei che limita le nuove assunzioni; dall’altro l’ideologia di una valutazione basata sullo spauracchio del merito e che ha assunto connotati meramente punitivi e restrittivi sula base di criteri incapaci di evidenziare le esigenze didattiche e il profilo scientifico-culturale di un corso di laurea.
Abbiamo più volte evidenziato le conseguenze negative dei numeri chiusi e programmati: non soltanto si impedisce allo studente la libera scelta personale nel definire il proprio percorso di formazione, ma spesso porta alla morte di interi corsi di laurea che dopo l’inserimento del numero programmato conoscono un calo drastico delle immatricolazioni. In più, quest’anno il Ministro Carrozza ha anticipato il test d’ingresso per i corsi di Medicina, Veterinaria ed Architettura ad Aprile ed ha dichiarato di voler diminuire il numero di posti disponibili del 20%: un ulteriore attacco diretto contro l’accesso alla conoscenza che intendiamo contrastare con tutti i nostri mezzi.
Lanciamo sul territorio una campagna contro il numero chiuso e le altre forme di sbarramento all’università: con il diritto allo studio e la libertà di scegliere le proprie aspirazione nel percorso formativo non si scherza, l’unica selezione compatibile con questi principi è la selezione in itinere, nell’arco del corso di laurea attraverso gli esami e le prove intermedie, mentre non è accettabile un blocco preventivo in ingresso.
Partiamo da un’importante vittoria ottenuta nel Dipartimento di Biologia in data 12 febbraio. I progetti di inserire nuovamente il numero programmato al corso di Scienze Naturali e Ambientali e di ridurre il numero di posti disponibili, da 350 a 250, nel corso di Scienze Biologiche sono stati respinti dalla ferma opposizione degli studenti. E’ stato così riconosciuto che i problemi di sostenibilità dei corsi non sono da scaricare sugli studenti, ma da imputare alle cause reali che il MIUR continua a non affrontare seriamente: il numero chiuso a Medicina da un lato, il blocco del turn over dall’altro.
Festeggiamo questo importante risultato sia per le opportunità garantite ai futuri studenti del Dipartimento sia come affermazione politica del valore di un’università pubblica di qualità e di massa. Tuttavia, è soltanto un primo passo verso la ripubblicizzazione dei saperi a livello locale e nazionale: la lotta continua!