Oggi si è tenuta la cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico e siamo intervenuti come voce della comunità studentesca. Ascolta il discorso integrale!
Di seguito il testo dell’intervento:
Professoressa Navarretta,
Onorevole Ministro Schillaci,
Presidente Giani,
Sindaco Conti,
Magnifico Rettore Zucchi,
Personale docente, ricercatore, tecnico, amministrativo, bibliotecario ed esternalizzato,
Dottorandi e Specializzandi,
Ai capaci e meritevoli…
… ”che anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”.
Quindi io non merito di essere qui.
Non merito di essere qui perché sono svogliato, scostante, perditempo. Non me lo merito perché sono incapace di rispettare i tempi dell’attuale sistema universitario. Non me lo merito perché non dedico abbastanza tempo allo studio; in fondo, forse l’università non la dovevo proprio fare.
Forse, però, non me lo merito perché i miei genitori hanno fatto solamente le scuole superiori. Un rapporto pubblicato nel 2021 dall’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche ci fa sapere che solo metà delle persone con genitori diplomati si laurea nel nostro paese, dato che scende al 12% se entrambi hanno la terza media.
E forse non me lo merito perché, sempre lo stesso rapporto, ci informa che il conseguimento del titolo terziario è fortemente correlato al livello di reddito della famiglia di provenienza. Ma d’altronde solo quasi 6 milioni di persone in Italia vivono sotto la soglia assoluta di povertà.
E io non me lo merito perché, per colpa mia, l’Università di Pisa viene penalizzata con minori finanziamenti visto che si pone al di sotto della media territoriale e nazionale per il numero di persone laureate in corso, e sopra la media per tempi di laurea.
Questa situazione non è figlia del caso ma di una scelta ben precisa che la nostra Università ha fatto nel tempo, ovvero quella di rendere il più accessibile possibile l’istruzione universitaria attraverso una tassazione media tra le più basse di questo paese, e realizzando una delle no-tax area tra le più estese.
Questa politica però non può concentrarsi solo sugli accessi, ma deve avere seguito in tutto il resto del percorso universitario.
Rendere l’università ampiamente accessibile per poi costruire un sistema fatto di sbarramenti, in cui la retorica del “deve essere difficile!” è considerata motivo di vanto e sinonimo di qualità, ci porta ad essere uno degli atenei col più alto tasso di abbandoni d’Italia, nonché fanalino di coda nelle statistiche citate in precedenza. Ma, soprattutto, comporta una negazione strutturale del diritto allo studio.
Questa politica ha creato un target che ha bisogno di sostegno sia dal sistema di welfare regionale sia da quello comunale i quali devono implementare azioni che entrino in sinergia con quelle di questo ateneo, tutelando il diritto allo studio attraverso una migliore distribuzione delle borse di studio dal lato regionale e azioni contro il caro affitti dal lato comunale.
Io non mi merito, Sindaco Conti, che la sua amministrazione, come quelle che l’hanno preceduta, trattino la comunità studentesca come un mero indotto economico: teppisti, artefici di malamovida, persone contrarie al decoro in tempo di stabilità e campagna elettorale, e salvadanai in tempi di crisi e pandemia. Siamo il tessuto sociale della città, una delle sue risorse principali, ma pare prioritario occuparsi solo di chi ha attualmente il diritto di voto, piuttosto che curarsi della cittadinanza nel suo complesso. Non possiamo subire un mercato immobiliare assolutamente sregolato e inflazionato.
Secondo il rapporto della Unione Italiana Lavoro, basandosi su dati forniti dalla Banca d’Italia, l’incidenza del costo dell’affitto a Pisa sul budget delle famiglie residenti sul territorio è del 34,4%: un terzo del budget familiare va nel potersi permettere un tetto, Sindaco Conti. Per rapporto tra costo degli affitti e reddito territoriale siamo tra gli ultimi posti nel territorio nazionale. Guardando invece alla componente studentesca fuori sede, il costo medio di un posto letto aumenta dal 2021 al 2022 del 10%, superando i 350 euro. Utenze escluse, ovviamente. Quando il Comune si assumerà le responsabilità di questa situazione? Quando avvierà un percorso di abbattimento dei costi degli affitti rendendo l’abitare veramente un diritto?
E poi, io merito veramente che sia l’università a tutelare la mia salute fisica? No, ministro Schillaci, non è compito dell’Università ma dello Stato. La salute e l’accesso alle cure nelle regioni in cui si studia o si lavora non può essere frutto di convenzioni, come quella in essere a Pisa tra Università e Azienda Ospedaliera. Un sistema nazionale – che mi costringe a scegliere se il mio diritto a essere curato risiede dove ho i miei affetti, la mia famiglia oppure dove studio o lavoro – non è un sistema sanitario che garantisce veramente diritti. Ad oggi, infatti, questo sistema non permette un doppio domicilio sanitario per la comunità studentesca e lavoratrice fuori sede, negando di fatto l’accesso gratuito alle cure e ai servizi di cui ogni persona ha bisogno. È necessario cambiare paradigma, la risposta deve essere nazionale e deve arrivare il prima possibile.
Ma la salute non è solo fisica: io non mi merito un sistema che mi faccia sentire costantemente debole. Io non sono e non voglio essere in grado di affrontare un percorso universitario che mi educa illogicamente alla competizione con le persone con cui condivido gli studi, trasformandole in mie rivali; dove sono quasi spinto a gioire dei fallimenti altrui perché rendono i miei più sopportabili o perché fanno sentire più significativi i miei successi. È un sistema che ti isola… io mi sento solo, solo e descritto come un numero di matricola con dei voti ad esso associati.
Sono io il problema? È normale sentirsi così? È giusto? Forse sono io a non essere abbastanza capace per affrontare il percorso che ho scelto, forse non me lo merito, forse dovrei mollare… mollare tutto… non solo l’università. Basta.
La retorica giornalistica e mediatica esalta e innalza a standard i presunti “prodigi”, in grado di prendersi titoli multipli in pochi mesi, o di terminare corsi, talvolta con obbligo di frequenza, in tempi che fanno presumere l’evoluzione abbia donato ad alcuni umani l’ubiquità. Definirli eccezioni è un eufemismo.
L’indifferenza verso l’ordinario, unita a questa fantastica esaltazione dell’inesistente, pone chiunque sia fragile in ginocchio. In ginocchio di fronte alle aspettative, alle attese e alle speranze infrante che la società aveva riposto in quella persona: alcune di queste si spezzano, abbandonano, rallentano, scappano dalle proprie responsabilità. Altre invece, sempre di più di anno in anno, decidono di spezzarsi definitivamente, una volta per tutte. Ma tranquilli, anche per loro ci sarà un titolo di giornale dedicato.
Noi oggi rivendichiamo il nostro diritto all’imperfezione, alla fragilità, il diritto ad essere persone e non semplici numeri dietro agli indici di performatività imposta da questo sistema. Non siamo dei semilavorati da raffinare, siamo studenti, siamo menti, siamo persone che rivendicano il loro posto nella società, con i propri limiti. Quanti sono stati meritevoli nella propria vita secondo gli standard di oggi?
L’università è il luogo dove la conoscenza fluisce, esplode, si contamina e rinasce di generazione in generazione: la conoscenza è un mezzo per autodeterminarsi e determinare la società. Questo deve essere il faro del più alto livello di formazione del Paese. Sono più di dieci anni che i tagli all’istruzione hanno portato il sistema universitario non più ad istruire ma a selezionare, spesso, purtroppo, con metodi che non hanno nessuna correlazione con i saperi o la conoscenza.
L’università è sempre più una questione di reddito, di benessere fisico e psicologico.
L’investimento nelle nuove generazioni deve essere il cardine di un paese che non vuole soccombere alla sua stessa storia; forse a questo punto credo sia opportuno chiedersi come nuova generazione: “Questo paese… ci merita?”
Nessuno decide dove nascere, il contesto in cui è immerso e cosa gli riserverà il futuro: ma noi non meritiamo questo presente e non meritiamo questa eredità.
Buon anno accademico a tuttu.