Nel Consiglio di Amministrazione del 6 aprile 2017 si chiude un capitolo buio della storia edilizia dell’Università di Pisa: l’acquisto, o meglio, la permuta della restante parte del complesso immobiliare detto Ex Benedettine.
Infatti il consiglio di amministrazione ha autorizzato, con ratifica tramite un decreto rettorale d’urgenza, lo storno di poco meno di un milione di euro “per sostenere le spese notarili e le imposte, non previste, relative all’atto di acquisizione della restante porzione dell’edificio ex Monastero delle Suore Benedettine da destinare all’uso di Polo didattico”.
È inaccettabile che una delle manovre edilizie più criticate da molte parti politiche della città si chiuda con un provvedimento d’urgenza: uno strumento assolutamente inadatto per procedere ad uno storno, soprattutto di questa entità. Per questo motivo Sinistra per non ha partecipato alla votazione. Il consiglio si è infatti trovato davanti al fatto compiuto, ad un atto emanato non in maniera collegiale ma in solitaria, senza che ci sia stata possibilità di discussione prima della delibera.
In materia di Ex Benedettine storicamente Sinistra per… e molte altre realtà universitarie e cittadine tra cui il CUA (collettivo universitario autonomo), Progetto Rebeldia, Una Città in Comune, si sono espresse in maniera critica e fortemente contraria. Stiamo infatti parlando di una manovra edilizia costata all’Università circa 11 milioni di euro dietro la quale si celano speculazioni e personalismi. Con ciò alludiamo prima all’acquisto da parte dell’Università di una porzione delle Ex Benedettine trasformate in foresteria per visiting professor con pochissime e minuscole aule per la didattica; poi alla manovra che si conclude oggi: quella dell’acquisto della restante parte del complesso, acquisto coperto in parte da permute di immobili, per le quali l’università si è fatta portatrice della richiesta di una variante urbanistica, finalizzata ad aumentare il guadagno sull’area dell’ex-gea a favore del privato a cui si permutava. Entrambe le manovre infatti sono state condotte con il precedente proprietario del complesso: la società privata Cemes s.p.a.
Perchè tutta questa contrarietà? Perchè la nostra università si è impegnata in un investimento estremamente costoso e dalla dubbia utilità che non trova corrispondenza nelle esigenze della comunità accademica che noi riteniamo prioritarie. Vi sono grandissime carenze edilizie in questo Ateneo (aule per la didattica e per lo studio, laboratori di ricerca e didattici) che spesso determinano situazioni di emergenza e non sostenibilità.
Pensiamo ad alcuni insegnamenti tenuti in aule sovraffollate, totalmente insostenibili, sia per il docente che per gli studenti (come avviene ad esempio ad Ingegneria o ad Economia), pensiamo alla condizione dei laboratori, spesso obbligatori e con vincolo di frequenza, ma non adeguati alla numerosità del corso, per strutture e strumentazione offerte (pensiamo ad esempio all’area di Chimica, “costretta” al numero chiuso, che viene giustificato con la carenza dei laboratori in un polo inaugurato, tra l’altro, solo due anni fa).
Davanti a tutti questi problemi la risposta dell’Università è stata sorda, è stata l’acquisto delle Benedettine – destinate a scopo di foresteria e polo di alta formazione – con il già citato meccanismo delle permute che ha visto la cessione oltre che dell’Ex Gea (situato accanto alle mura della città) di Palazzo Feroci; entrambi immobili lasciati nell’abbandono dall’Università per anni.
Critichiamo il meccanismo della permuta perché tutti questi immobili sarebbero potuti essere stati utilizzati diversamente, venendo recuperati direttamente dall’università o da parte di altri enti pubblici, ed invece sono stati oggetto di una trattativa con un soggetto privato e sottratti così alla comunità accademica.
Non può essere poi trascurata, ma deve essere anzi richiamata a gran voce, poiché di primaria importanza, la forte emergenza abitativa in cui versano non soltanto gli studenti ma tutta la comunità pisana inclusi residenti, lavoratori e migranti.
Al riguardo, e per quanto concerne la componente studentesca, per troppi anni l’Università stilando il suo piano edilizio, ha fatto orecchie da mercante riguardo le sue responsabilità rispetto all’emergenza abitativa.
Esistono infatti decine e decine di spazi pubblici completamente inutilizzati e lasciati al degrado e all’abbandono a fronte di un numero sempre maggiore di studenti che si trovano a vivere in situazioni disagiate. Circa la metà degli studenti vincitori di alloggio con borsa di studio non riceve l’alloggio entro l’anno accademico; mentre coloro che non sono borsisti – e vivono in appartamenti privati – si trovano in molti casi a dover stipulare contratti di locazione con proprietari che speculano sulla condizione studentesca propinando condizioni contrattuali proibitive per il conduttore o peggio contratti a nero, con la conseguenza per lo studente conduttore (in quest’ultimo caso) di non potersi vedere riconosciuto alcun diritto .
Di fronte a questa realtà crediamo sia doveroso, da parte di tutte le istituzioni, ma soprattutto dell’università, dare un segnale forte di condivisione di determinate problematiche operando attraverso una discussione ampia e condivisa della destinazione e delle finalità dei propri spazi, optando per la riqualificazione e la collaborazione con altri enti legati all’Università come il DSU stesso, evitando il meccanismo della vendita ai privati e della speculazione su un patrimonio pubblico.
Sinistra Per…,
CUA -Collettivo Universitario Autonomo,
Progetto Rebeldia,
Una Città in Comune