Uno stupro di branco, questo è quello che è accaduto il 7 luglio a Palermo, seguito da minacce di ulteriori violenze nel caso la vittima avesse denunciato quanto avvenuto.
Questo episodio è l’ennesima manifestazione delle discriminazioni che subiscono ordinariamente le soggettività socializzate come donne, venendo private della propria identità, volontà e consenso e venendo oggettificate sessualmente come se fossero un giocattolo di sfogo per impulsi aggressivi e violenti.
Siamo stanchз di vedere questi casi trattati come l’eccezione, quando invece non rappresentano altro che eventi ordinari, sintomatici di un sistema malato chiamato PATRIARCATO.
L’approccio della stampa poi alimenta il fenomeno: le descrizioni morbosamente dettagliate di quanto accaduto, oltre ad essere violente nei confronti della vittima che è costretta a rivivere il trauma, sono inutili poiché non fanno comprendere le vere cause socio-culturali del problema e intensificano l’odio di chi legge, non lasciando spazio a un’analisi più complessa.
Inoltre la descrizione del carnefice come “mostro” perpetra una visione slegata da una matrice culturale, riducendo i casi di violenze sistemiche a semplici eccezioni. Si demonizza chi cagiona il danno, esaltandone la straordinaria violenza e dimenticando come questa faccia parte della quotidiana brutalità del Patriarcato. Questa narrazione normalizza l’esistenza degli abusi e deresponsabilizza l’individuo dalle proprie azioni.
Di conseguenza, la reazione più comune sarà egualmente superficiale: “il mostro deve pagare con una punizione esemplare”. L’unico modo di “fare giustizia” sarà attraverso la sofferenza a cui verrà sottoposto il carnefice scontando la pena.
Questo modello corrisponde ad una visione anticostituzionale del sistema carcerario, dove la pena è vista come una tortura, utilizzata come unica alternativa-soluzione. Ciò porta inevitabilmente ad intensificare il problema stesso, non dando la possibilità né di creare coscienza collettiva né di comprendere ad un livello più profondo di che tipo di educazione abbiamo bisogno all’interno della nostra società.
Non basta agire a posteriori, perché non esiste misura che possa compensare il danno psicologico e permanente derivante da abusi, molestie in strade, all’interno di mura domestiche o luoghi destinati al lavoro e all’istruzione.
Non siamo al sicuro da nessuna parte, ma a proteggerci ci sono lз nostrз sorellз. Siamo arrabbiatз e furiosз, vogliamo un’educazione affettiva e sessuale transfemminista nei luoghi della formazione, non colpevolizzazione delle vittime. Esprimiamo solidarietà nei confronti della vittima, sorellə non sei solə!