È entrato in vigore da ieri, primo maggio, il nuovo protocollo anti-contagio del nostro Ateneo, le principali novità.
Finalmente è stata eliminata la restrizione al numero di persone che possono presenziare durante le sedute di laurea. Inizialmente potevano assistere alla seduta due persone, attraverso gli organi abbiamo ottenuto che fossero aumentate a 5, ma la nostra richiesta era l’eliminazione di questa misura inutilmente restrittiva. Ora potremo far assistere all’appello finale chiunque vogliamo, ma sempre compatibilmente alla disponibilità di spazi.
La modalità delle lauree resta la stessa: presenza ma con la possibilità di poter richiedere l’appello anche a distanza.
Un’altra importante modifica riguarda l’accesso alle strutture universitarie: non occorrerà più il possesso del Green Pass, neanche nella sua forma “base”, né la certificazione di esenzione dalla vaccinazione anti Covid-19 in formato digitale, compatibilmente alla normativa nazionale, secondo cui dal primo maggio il Green Pass non sarà necessario neppure per trasporti, ristorazione e intrattenimento.
Assistiamo tuttavia all’ennesimo paradosso per quanto riguarda l’utilizzo della mascherina. Questo viene definito come “fortemente consigliato” all’interno dei poli, fino a quando si deve rimanere in corridoio o magari andare in bagno. Ma nel momento in cui vogliamo frequentare una lezione, dare un esame o laurearci resta obbligatorio avere una mascherina FFP2, nonostante questo non sia previsto da alcuna normativa nazionale.
Secondo quest’ultima infatti, in università non è obbligatorio l’uso di mascherine FFP2.
Ci troviamo quindi di fronte all’imposizione di una misura che non è prevista a livello nazionale e che ricade economicamente sulle nostre spalle. Il costo delle mascherine FFP2 è sensibilmente più alto rispetto a quello delle chirurgiche: se l’Ateneo vuole renderle obbligatorie allora deve fornirle gratuitamente.
Resta ancora in vigore il sistema di tracciamento anti-contagio tramite i QR code, che si è dimostrato più volte inefficiente, sia a fronte di problemi pratici nella scansione, sia soprattutto per il mancato utilizzo, causato anche da una pessima comunicazione in merito all’utilità dello strumento da parte dell’Ateneo. Tutto questo ha contribuito a determinare una falla nel sistema di tracciamento che ne ha, di fatto, compromesso l’utilità reale.
Se da un lato accogliamo in modo positivo le modifiche che vanno verso una apertura, come passo importante per tornare a vivere i nostri spazi che da troppo tempo ci sono negati, dall’altro temiamo che queste scelte seguano un disegno generale miope, che non tiene conto delle nostre reali esigenze, come dimostrato dall’ultima decisione in materia di esami. L’Ateneo si limita a inserire e togliere restrizioni senza risolvere problemi strutturali, come ad esempio la mancanza di spazi, tamponata durante il periodo pandemico attraverso lo strumento della didattica telematica. Infatti, anche in questo protocollo e con gli spazi a capienza completa, lo svolgimento di attività in presenza resta subordinato alla “compatibilità di spazi adeguati”, sintomo di un problema che ormai denunciamo da anni: l’emergenza spazi in cui versa l’Università di Pisa, che non ha ancora visto, né sembra vedere prossimamente, una vera soluzione.
Per quanto riguarda gli esami, il CDA ha confermato la decisione del Senato rendendola definitiva: saranno i totalmente in presenza. La possibilità di richiedere di poter sostenere esami a distanza resta prevista per disabilità, internazionalizzazione ed erasmus (solo in entrata), tra i casi precedentemente vi erano “motivi di forza maggiori legati all’emergenza pandemica” ma questa ipotesi è stata rimossa, per cui in caso di positività al covid l’unica opzione che ci resta, anche se asintomatici e preparati, è saltare l’appello.
Siamo l’unico ateneo toscano ad aver optato per questa modalità, che ci costringerà ad acquistare biglietti e alloggi per poter sostenere l’esame: tutto questo non ha senso.
Infine ci chiediamo nuovamente perché questa amministrazione non riesca a lavorare con ordine e tempestività, permettendo a chi studia, lavora, vive i luoghi dell’università di essere in grado di informarsi e stare al passo con i numerosi cambiamenti che vengono effettuati. Da mesi chiediamo un modo di lavorare diverso: una costruzione delle decisioni da prendere che tenga in considerazione tutte le parti coinvolte e permetta loro, democraticamente, di partecipare ai processi dell’Ateneo. Vogliamo una comunicazione migliore, vogliamo che l’Ateneo ci informi di quello che accade, non soltanto con una mail che rischia di non essere vista, ma anche creando canali di comunicazione più efficienti. Finora siamo statɜ noi rappresentanti, grazie alla presenza negli organi di rappresentanza, a condividere sui social ogni cambiamento, ma occorre un’informazione capillare che non può essere lasciata solo ai nostri mezzi.