Nonostante l’ottimismo professato a più riprese dal Ministro Carrozza, i problemi connessi alle politiche in materia di formazione pubblica sono tutt’altro che superati. Anche quest’anno centinaia di migliaia di giovani non hanno potuto realizzare le proprie aspirazioni a causa dei numeri chiusi e programmati che interessano ormai il 57% dei corsi di laurea attivi in tutto il Paese; le risorse sul diritto allo studio risulteranno insufficienti in quasi tutte le Regioni a coprire con borsa gli aveni diritto; l’offerta didattica è sempre più impoverita con corsi a rischio chiusura, insegnamenti che tacciono ed aule sovraffollate dove diventa un’impresa trovare un posto a sedere.
Questa fotografia impietosa è frutto di anni di tagli al finanziamento degli atenei e al fondo statale per le borse di studio. Le statistiche delle più importanti ricerche nazionali e internazionali sul sistema formativo (dalla relazione del CUN del gennaio 2013 al rapporto dell’OCSE sull’istruzione di questa estate) segnalano che il nostro Paese è agli ultimi posti per investimenti in istruzione e ricerca in rapporto al PIL. Gli atenei italiani sono diventati luoghi sempre più esclusivi ed escludenti verso chi non può permettersi di pagare le tasse universitarie (le terze più care d’Europa). Eppure nel dibattito pubblico questi dati sono continuamente mistificati da un fronte compatto di giornalisti ed economisti che ci raccontano di quanto in Italia le rette universitarie vadano liberalizzate e sensibilmente aumentate (addirittura, nell’interesse delle famiglie meno abbienti!) e di come non possiamo permetterci di finanziare gli studi di fannulloni e fuori corso, quando è risaputo che le borse di studio hanno una durata massima di 3 anni e un semestre per i corsi triennali e, soprattutto, che sono coperti soltanto il 67% degli aventi diritto.
Anche a Pisa, nonostante le classifiche internazionali, emergono le contraddizioni di un sistema che si discosta sempre più dall’obiettivo di un’università di massa e di qualità: il numero di posti letto nelle residenze universitarie è tutt’ora insufficiente a garantire l’alloggio a chi ne ha diritto (la copertura è ferma al 57%); gli affitti in città raggiungono prezzi elevatissimi e gli oneri degli studenti fuori sede (più di 20.000 a Pisa) saranno aggravati dalla recente introduzione della Service Tax; le tasse universitarie, nel 2011, hanno sforato di 4 milioni il limite imponibile da una Legge resa inutile da Monti e, la scorsa estate, siamo riusciti ad evitare l’ennesimo tentativo di aumentare le tasse ai fuori-corso.
Se per un intero ciclo di movimento gli studenti e le studentesse sono scesi in piazza per difendere l’università pubblica dai continui attacchi dei governi che si sono succeduti alla guida del Paese, in questo momento abbiamo bisogno di contrattaccare. Con l’attuazione della legge Gelmini negli atenei e l’approvazione del decreti attuativi, il libero accesso ai saperi e la natura pubblica degli atenei sono stati messi fortemente in discussione. Oggi più che mai abbiamo bisogno di un movimento ampio per la ripubblicizzazione dei saperi, che parta dal ruolo che la conoscenza può giocare nella realizzazione di una società e di un modello di sviluppo basati sui diritti, sull’uguaglianza, sul rispetto della dignità delle persone e sulla tutela ambientale.
Il tema dei saperi, infatti, non può essere scisso da quanto avviene al di fuori dei luoghi della formazione. I dati su disoccupazione giovanile (39% secondo gli ultimi dati ISTAT), “overeducated” e NEET (arrivato nella fascia d’età fra i 15 e i 29 anni a una percentuale del 23% contro la media OCSE del 15%) palesano quali sono le conseguenze dei processi di espulsione sociale dall’università e di un sistema economico composto da imprese che investono poche risorse in Ricerca&Sviluppo. I pochi che riescono a trovare un impiego dopo la laurea si imbattono in contratti a tempo determinato, nell’assenza di forme di welfare, in lavori che richiedono meno competenze di quelle acquisite negli anni di studio.
Nonostante la gravità di queste emergenze sociali, le forze politiche appaiono sempre più sorde alle istanze di cambiamento. Il governo Letta si è recentemente salvato dal tentativo di strappo di Berlusconi: per quanto sia difficile affermare adesso in quale direzione si muoverà il quadro politico nelle prossime settimane, le prospettive ci sembrano molto negative. Con tutta probabilità ci troveremo di fronte a un compatto schieramento centrista senza la volontà di contrastare il malessere degli strati medio-bassi della popolazione, come peraltro è stato evidente con i provvedimenti già presi in materia di tassazione del patrimonio immobiliare o di diritto allo studio (-40 milioni di euro per il 2014 rispetto al 2013).
Per invertire questa rotta, riteniamo che sia cruciale imporre nuovamente il tema della liberazione dei saperi, proprio alla luce del loro ruolo di vettori del cambiamento in senso ampio, che va oltre le mura degli atenei. Link-Coordinamento universitario ha aderito alla data di mobilitazione dell’Uds dell’11 ottobre. Anche a Pisa saremo in piazza per riprendere da dove ci siamo fermati, dall’urgenza di rimettere in piedi un adeguato sistema di diritto allo studio e di welfare studentesco, andando a reperire risorse da capitoli di spesa non strategici per la collettività e che rispondono agli interessi di determinati poteri economici e politici (spese militari, F-35, TAV, finanziamenti alle scuole private e paritarie).
Parallelamente diventa di fondamentale importanza non rinchiudersi nel proprio campo e tessere relazioni con settori sempre più ampi della società. Con questa finalità stiamo promuovendo sul territorio la manifestazione del 12 ottobre a Roma in difesa della Costituzione, che ha come primi firmatari Maurizio Landini, Stefano Rodotà, Don Luigi Ciotti, Lorenza Carlassare e Gustavo Zagrebelsky. Perchè c’è un disegno politico dietro gli attacchi alla costituzione: la lettera della JP Morgan dell’aprile scorso contro la rigidità delle Costituzioni antifasciste è emblematica di un progetto di austerity che attacca profondamente gli spazi di democrazia e i diritti sociali. Difendere la Costituzione e pretendere la sua piena attuazione significa contrastare i progetti di impoverimento sociale, spesso patrocinati dall’Europa e dalla BCE. Il diritto al lavoro, il diritto allo studio, il diritto alla salute, la tutela dei beni comuni e dell’ambiente, la lotta alla povertà, la funzione sociale della proprietà privata, il ripudio della guerra sono chiaramente enunciati nel testo costituzionale, ma a questo non corrispondono adeguate misure legislative. Chiedere oggi la piena attuazione dei diritti sociali affermati dalla Costituzione significa rilanciare con forza verso una radicale alternativa, in grado di garantire reddito, giustizia sociale, diritti e dignità delle persone.
Invitiamo, quindi, tutte e tutti a riprendere le piazze l’11 ottobre a Pisa – come sarà fatto contemporaneamente in più di 90 città italiane – e il 12 ottobre a Roma per contrattaccare i processi politici ed economici responsabili della dismissione dell’università pubblica, dello smantellamento dei diritti sociali e dell’impoverimento generale.