“BELLEZZA, SALUTE E BENESSERE: quello che le donne vogliono” è il titolo dell’iniziativa dedicata alla donna e alle sue presunte e discutibili “passioni”, patrocinata dal Comune (?) e dalla Provincia di Pisa, che oggi ripropone ed incoraggia l’immagine superficiale e avvilente di donne attente ed interessate soltanto all’apparenza.
Per quanto la cura del corpo di per sé non costituisca un problema, lo diventa quando è ossessivamente riproposta da modelli televisivi, riviste e interi eventi come questo, come unica opzione possibile per l’espressione dell’identità femminile.
Parte del problema risiede dunque nel titolo e nel messaggio da questo veicolato.
E’ proprio nella formula “quello che le donne vogliono” e nella descrizione dell’evento “tre giorni dedicati alla Donna ed alle sue passioni” (tra cui troviamo epilazione, abbronzatura, acconciature, trucco, massaggi, danza, shopping, cucito, ecc) che sussiste la visione di un mondo altamente dicotomizzato e stereotipante.
Questa rappresentazione della donna come oggetto ad uso e consumo del pubblico maschile offre un’immagine riduttiva dell’identità femminile, appiattita su dinamiche stereotipate ed antiche. La cura del corpo e dell’estetica è presentata come unico strumento possibile per realizzarsi in quanto donne; per quanto non ci sia niente di intrinsecamente sbagliato nel prendersi cura di sé sul piano fisico, è giusto che ciò non sia visto come unico percorso praticabile nella coscienza di sé. Non bisogna invece includere quelli che sono percepiti come interessi principalmente ‘femminili’ in uno spettro più ampio che può comprendere altre passioni? Qual è la differenza tra la manicure e il rugby? Perché dovrebbe essere più importante per le donne avere le unghie in ordine rispetto a eccellere in uno sport?
L’evento si richiama alla volontà e ai desideri dell’universo femminile ma non vi è alcun accenno a temi ben più vicini ed importanti per le donne e la società tutta – diritti sul lavoro, pari opportunità, applicazione della 194, etc – o il benché minimo riferimento a passioni alternative alla decorazione narcisistica di sé o al consumismo.
Definire certe passioni come caratterizzanti dell’essere donna è avvilente non solo per il sesso femminile, ma anche per quello maschile; ricondurre alcune attività ad un genere specifico limita le possibilità di ognun* di costruire la propria identità liberamente.
Proprio in opposizione a quest’immagine riduttiva e limitante del significato di essere “donna” siamo qui, fuori dalla stazione Leopolda, con striscioni, cartelloni e volantini, per sensibilizzare visitatrici e visitatori a tali tematiche ed offrire spunti di riflessione sugli stereotipi di genere.