È questa infatti la responsabile ed inclusiva risposta dell’Ateneo di Pisa alle necessità delle sue studentesse tirocinanti.
Nei giorni scorsi è uscito il nuovo bando per il conseguimento dell’esame di stato di medicina chirurgica, che prevede tre mesi di tirocinio, con l’inserimento di questa nuova e discriminante norma:
“Ai sensi dell’art. 2 c.1 del D. Legs 81/2008 e art. 6 e 7 del D. Legs 151/2001 sulla tutela della salute dei lavoratori, l’Università dispone per le candidate in stato di gravidanza e fino al settimo mese dopo il parto il divieto di frequenza dei tirocini previsti. Nel caso lo stato di gravidanza sia accertato durante tali tirocini dovrà immediatamente essere data comunicazione a esamidistato@adm.unipi.it”
La palese discriminazione della norma è di natura politica, scegliendo di escludere le studentesse piuttosto che cercare di tutelarle, avendo a modello il cattivo esempio dell’Università di Torino, piuttosto che università più attente, come quella di Siena.
Il problema – pare assurdo dirlo nel momento in cui la gravidanza è una condizione naturale della donna che dovrebbe prevedere tutele e procedure standardizzate nei regolamenti già da molto tempo – è iniziato all’inizio di gennaio quando una tirocinante della sessione invernale dell’esame di stato ha scoperto di essere rimasta incinta e si è preoccupata di chiedere di essere riassegnata ad un altro reparto, meno pericoloso dal punto di vista infettivologico di quello d’urgenza, per conseguire il suo ultimo mese di tirocinio.
Dopo due settimane di silenzio e dopo averle fatto firmare una liberatoria dove le si chiedeva di sollevare l’Università di Pisa da qualsiasi responsabilità eventuale su danni possibili a lei o al feto, il 18 gennaio ha ricevuto per mezzo raccomandata una comunicazione che le impedisce, di fatto, di completare il tirocinio ed accedere all’esame di stato rifacendosi al Dl. 151/2001 “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53”.
Tutto questo senza che sia mai stata visitata da un medico competente o che, nella lettera, un medico si prendesse la responsabilità di escluderla, certificando l’incompatibilità della sua condizione con le mansioni previste nel tirocinio.
Al momento la studentessa è in un limbo legato all’interpretazione del regolamento con cui ha avuto accesso al tirocinio; la comparsa nei nuovi bandi della norma discriminante che abbiamo riportato, rende infatti la situazione più torbida e complessa ed il futuro non fa ben sperare.
La posizione dell’Università in questo caso è chiara: perché prendersi delle responsabilità e cercare di tutelare le sue studentesse, quando può, semplicemente, aggirare il problema ed abbandonarle a se stesse, tutelandosi da qualsiasi punto di vista assicurativo?
Perché, ancora, ammettere la propria colpa di un grave buco normativo ingiustificato quando si può tutelare la gravidanza all’interno dell’Università di Pisa semplicemente consigliando di non rimanere incinta?
Il messaggio che esce da questa storia è chiaro: studentesse, se siete incinta questa università non è il posto per voi e, se qui cercherete tutele, il massimo che troverete saranno liberatorie da firmare.
Tutto questo in un contesto politico in cui proprio in questi giorni il Comitato diritti umani dell’ONU ha nuovamente ripreso l’Italia per le difficoltà che le donne incontrano nell’esercitare la legge 194 sull’interruzione di gravidanza e dopo che l’8 marzo di quest’anno in innumerevoli piazze al mondo, Pisa compresa, le donne di più di 40 Paesi hanno chiesto a gran voce il riconoscimento dei propri diritti, dagli anticoncezionali, alla tutela della maternità, dalla parità di salario, alla non discriminazione di genere.
E solamente pochi mesi dopo il tanto voluto “fertility day” dalla ministra per la salute Lorenzin che, preoccupata per le posizioni statistiche italiane in materia di nascite, incitava le studentesse e gli studenti a “darsi una mossa”, non dando però nessun tipo di garanzie e tutele sociali per affrontare il mondo universitario e quello lavorativo portando a termine contemporaneamente una gravidanza.
È necessario che l’Università dia risposte chiare ed immediate e che si prenda le sue responsabilità, diventando promotrice di inclusione e parità sociale. Non è in alcun modo accettabile che la questione sia analizzata solo da un punto di vista strettamente burocratico e assicurativo. Vogliamo tutele e diritti e li vogliamo ora.
Sinistra per…